In data 4 gennaio 2023, sulle pagine del nostro giornale avevamo pubblicato un articolo dal titolo: “L’ex Presidente dell’AIA Alfredo Trentalange è una persona perbene”. Quella non era una semplice e banale piaggeria dettata da chissà quale interesse che è lontano anni luce dal nostro modus operandi giornalistico, sempre molto attento all’etica e alla deontologia professionale. Questo è ciò che ci viene sistematicamente raccomandato nei vari corsi di aggiornamento professionale che facciamo per adempiere agli obblighi di legge. Tuttavia, quell’articolo e quel titolo così chiaro nelle motivazioni, sulle quali ci siamo basati per esprimere il nostro pensiero verso l’ex Presidente dell’AIA, erano e sono il frutto della conoscenza dell’uomo da sempre onesto e corretto che, a nostro avviso, era stato introdotto suo malgrado nel fango della questione D’Onofrio. “Un arbitro” – disse Trentalange a conclusione della sua lunga e accorta lettera di dimissioni da presidente dell’AIA – “rimane tale anche quando non è la realtà dei fatti, ma solo la pressione mediatica ad addebitare colpe inesistenti”. Già, “pressione mediatica ad addebitare colpe inesistenti”. E oggi con il senno di poi e alla luce della cancellazione dell’inibizione inflitta a Trentalange da parte della Corte Federale d’Appello, la quale ha accolto il ricorso dell’ex presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, sanzionato lo scorso 17 marzo dal Tribunale Federale Nazionale con tre mesi di inibizione, ebbene, quella “pressione mediatica ad addebitare colpe inesistenti” – pronunciata da Alfredo Trentalange – risuona sulle coscienze di una professione giornalistica, la nostra, troppo spesso proiettata a condannare con troppa facilità ciò che richiederebbe, prima di scrivere, un serio approfondimento della notizia data ai media. Tuttavia, la nostra riflessione non vuole apparire saccente, irritante e desiderosa di scagliarsi contro la nostra stessa categoria professionale per creare polemiche, ma, più semplicemente, desideriamo richiamare l’attenzione della nostra penna, soprattutto quando esprime giudizi troppo affrettati verso la persona che viene esposta alla gogna mediatica. Tanti sono stati i casi in cui la storia ci ricorda di essere molto cauti nel rendere colpevole chi ancora non è stato posto al giudizio finale dei vari processi penali. Con la vita delle persone non si può essere superficiali, né, tanto meno, giudicare senza conoscere e poi dare la notizia che quella tale persona non era il “mostro” che avevamo dipinto. E’ come salire sul carro del vincitore. Ma quanto male gli abbiamo fatto nell’averlo aspramente combattuto, soffiando su quell’impetuoso vento contrario capace solo di distruggere. In ogni persona c’è sempre una storia da raccontare, ci sono delle profonde pieghe di sensibilità che si intersecano nell’anima. Non lasciamoci ingannare dalla fretta e dalla superficialità di scrivere. Questo non è corretto.
Salvino Cavallaro